Committente:
Privato
Anno:
1991-1997
Importo Lavori:
3,268 mln €
Progettisti:
artom & zanotti architetti associati con arch. G. Di Guardo
Prestazioni Professionali:
Progetto preliminare
Progetto definitivo
Progetto esecutivo
Direzioni lavori
Antincendio

Il contesto

l’edificio occupa un piccolo lotto residuo (circa 500 mq) posto tra un fitto edificato caratterizzato dalla presenza di una pluralità di edifici architettonicamente eterogenei, databili tra la fine degli anni 50 e i decenni successivi. Tipologie a villino si alternano a edifici pluripiano di maggiori dimensioni che caratterizzano l’edificato lungo il corso Sebastopoli posto nelle immediate vicinanze. Il fronte su via si affaccia su un'area verde destinata a parco, di pertinenza della vicina scuola media comunale, databile intorno alla fine degli anni 70.

Palazzina via Monesiglio - dettaglio

Il progetto - I

Il progetto nasce dall’esigenza, espressa dall’impresa costruttrice committente, di dover modificare il progetto esistente - ideato da altro professionista - adeguandolo alle nuove richieste del mercato immobiliare e alle normative edilizie cogenti, in corso di ridefinizione, in attesa dell' approvazione definitiva del nuovo PRGC. L’esercizio “funambolico” di riprogettazione distributiva e formale applicato ad una volumetria ed una architettura già approvati, è stato particolarmente complesso e articolato. L’idea generatrice del progetto è nata dalla necessità di dover posizionare il vano scala all’esterno dell’edificio per incrementarne la volumetria, suggerita da un attenta lettura del regolamento edilizio.

Palazzina via Monesiglio - fronte

Il progetto - II

I percorsi verticali di accesso alle unità immobiliari hanno determinato lo sviluppo degli aspetti distributivi di ogni appartamento, che variano a ogni piano. L’immagine complessiva dell’edificio, connotato dalla presenza del grande portale metallico che racchiude il vano scala, si caratterizza per il sovrapporsi di volumetrie semplici: a partire dal piano terreno che si apre interamente verso il giardino, per proseguire ai piani superiori con l'inserimento delle logge e dalla simmetrica presenza dei grandi balconi curvilinei prospicienti i fronti est e ovest. A coronamento del “cubo” sottostante, emerge la volumetria “matericamente” diversa del piano attico con mansarda sovrastante - interamente in laterizio - circondata dal grande terrazzo perimetrale.

Palazzina via Monesiglio

L’arte perduta di fare delle belle case

“E' stato Andrea Branzi negli anni '70, quando si era fatto la fama di enfant terrible dell'avanguardia artistica con la sua 'architettura radicale' a parlare della "..arte perduta di fare delle belle case.."; le parole di Branzi mi sono tornate in mente durante la visita alla casa, hanno continuato a tornarmi in mente guardando i disegni, quelli finali ma anche gli schizzi, nei quali è conservata la traccia del lavoro attorno al tema, individuato con chiarezza fin dall'inizio. Una prima definizione del tema potrebbe essere quella "catastale" contenuta in un termine oggi quasi scomparso: palazzina. Di palazzine in città non se ne fanno più, se ne sono fatte fino alla prima metà del '900 nei quartieri nuovi signorili, ed erano una palestra per gli architetti che si cimentavano nell'arte di fare delle belle case, delle belle piante, dei bei particolari costruttivi. Questa casa evoca per me il mondo delle palazzine e lo evoca a proposito: infatti l'isolato è in buona parte occupato proprio da palazzine circondate da piccoli giardini, carattere "verde" conservato anche grazie alla presenza di una scuola, fatta di padiglioni bassi tra gli alberi. A differenza delle palazzine più recenti, degli anni '60, questa però non guarda alle case alte moderne per darne una versione ridotta e insensata, ma guarda piuttosto proprio al tipo perduto della palazzina, senza per altro cedere a nostalgie storicistiche. La dimensione ridotta del lotto, insieme alle indicazioni di mercato credo, ha portato ad un "cubo" con un alloggio per piano: schema semplice e chiaro che permette una identificazione forte e diretta tra la parola "casa" e la forma "casa", caratteristica tipica della palazzina. Questo cubo è poi stato organizzato, attraverso tutte le varianti, secondo i due assi centrali ortogonali, dando origine a facciate con le aperture concentrate nella fascia centrale, schema semplice che è stato complessificato variando il disegno delle piante piano per piano; il risultato finale è caratterizzato dall'equilibrio tra unità e semplicità da una parte e varietà e complessità dall'altra. Guardando i disegni mi vengono in mente le Cappelle di Brunelleschi (lo schema è lo stesso, anche se là riguarda l'interno: un volume cubico con le facciate organizzate attorno ad un' arcata centrale) , ma anche la scuola elementare Muratori in Borgo Vanchiglia a Torino (1913) per via della scala contenuta nella grande arcata che tiene tutta la facciata, ma poi anche i progetti di O. M. Ungers (1) per un gruppo di case unifamiliari a Marburg e vedo in questo una conferma che il progetto contiene qualcosa in grado di immetterlo nell 'intricato circuito comunicativo costituito dall’ architettura, costruita e non costruita. Il nome di O. M. Ungers è quello che ritorna per me con più forza, per il rigore geometrico, la costruzione logica dell' architettura: come i torsi femminili di Magritte evocati proprio da Ungers a proposito del tema della "casa nella casa" , nella versione finale l' alloggio più alto è un po' come una casa da sola, per via del grande tetto che nasce dall'incontro di quattro "capanne", è un po' come una casa piccola che esca da una casa più grande, è un po' come una casa piccola su una casa più grande; come nelle case di Marburg qui la casa è un po' come se fosse fatta di pezzi di case diverse”.
Sisto Giriodi

Cfr - Articolo estratto dalla Rivista “Progetto e Cronache” 4/1996 n.36 (1) Tutte le citazioni di Ungers si trovano in: "L'architettura come tema Electa". Milano 1982

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